11 febbraio 1947: arrivano a Pinerolo i profughi di Pola
Arrivarono a bordo di due camion Dodge degli alleati, che a quasi due anni dalla fine della seconda guerra mondiale erano ancora una presenza abituale nelle strade d’Italia. Quel giorno i mezzi condussero a Pinerolo un gruppo di persone: «Tutti hanno compreso che si trattava dei profughi di Pola», scrisse L’Eco del Chisone nella sua cronaca del 15 febbraio 1947.
L’11 febbraio cominciarono dunque a giungere in città le persone che l’occupazione titina dell’Istria aveva costretto ad andarsene. I due camion telonati erano carichi di «materassi, viveri, casse e legna»: gli unici beni che erano rimasti a queste persone, accompagnate a Pinerolo da un sacerdote della Pontificia commissione di assistenza di Torino.
«Non sapevamo nemmeno dov’era Pinerolo – raccontò Bruno D., uno degli ospiti –. Vedevamo queste montagne, e non le dico come siamo arrivati, una cosa allucinante! Un camion americano, il Dodge, e noi dietro, un freddo che non le dico!»
Dall’11 febbraio al 15 marzo, a più riprese, arrivarono in città 41 persone, membri di 13 famiglie. Furono inizialmente sistemate presso nella Casa Madre delle Suore Giuseppine (via Principi d’Acaja) e nell’ex Ospizio di carità (via Luciano), appositamente riadattato. Il sindaco di Pinerolo Tommaso Giustetto si giustificò con il prefetto, asserendo di non poter provvedere a migliore accoglienza «data la ben nota penuria di abitazioni».
I profughi sistemati dalle Giuseppine restarono solo pochi mesi in Casa Madre: i locali, d’estate, servivano per le suore, così i giuliano-dalmati furono spostati nella vecchia Casa della Divina Provvidenza, ad Abbadia Alpina: un edificio considerato umido e poco salubre dagli stessi ospiti, che scrivono per lamentarsene al sindaco. Le suore, però, continuarono per anni ad occuparsi dell’assistenza: dei piccoli, delle donne, degli anziani…
L’Eco del Chisone lanciò un appello all’accoglienza: «Cuori generosi non mancheranno di comprendere e di praticare il Vangelo alla lettera: se hai due lenzuola, biancheria o stoviglie in abbondanza, una sarà per il tuo fratello che dorme senza lenzuolo, mangia senza cucchiaio, lavora senza camicia, che, unica nel corredo, serve per il giorno di festa. Solo così potranno i fratelli di Pola rifarsi un nido, e dimenticare giornate di lutto e di angosce indicibili».
La piccola colonia degli istriani – sostenuta da un apposito Comitato Profughi Giuliani – cercò di integrarsi poco alla volta nella realtà pinerolese. Ciascun rifugiato riceveva un sussidio dall’Ente Comunale di Assistenza: 300 lire al giorno per il capo famiglia, 200 per gli altri membri. Erano previsti anche pacchi alimentari e un regime di sconti, affidato alla buona volontà degli esercenti: l’Ente Comunale di Assistenza aveva infatti dotato ciascun ospite di una “Carta del Profugo”, con cui poteva rivolgersi ai negozianti per avere derrate di prima necessità a un prezzo agevolato.
Si cercò di trovare un lavoro quantomeno ai capofamiglia: già nel mese di marzo 1947 il prefetto poteva informare il Ministero dell’Interno dell’assunzione di quattro tra loro: due alla Talco e Grafite, due al cotonificio Turati…
Fu comunque necessario superare il pregiudizio («Ci portano via il lavoro e le case!») e la paura del diverso: «Noi qui fino a un certo punto non eravamo italiani! – testimoniò Franco D. –. Ci è andato qualche anno: infatti noi qui eravamo i polacchi e i fascisti, ci trattavano così, dicevano che quelli che venivano da là erano fascisti, che avevano piantato casino. Cosa siete venuti qui? (…) Poi ti facevi amico con le famiglie e parlavi: guarda che io son questo, son quello, son quell’altro…».
Fonti: www.istoreto.it, L’Eco del Chisone del 15 febbraio 1947.
Immagine: Una giovane esule istriana con i suoi bagagli e il tricolore.