12 – Del dolore e dell’indifferenza
Un bambino piange per chiedere attenzione. Un bambino piange perché scopre per la prima volta il dolore e ne è spaventato. Un bambino piange perché non ha ancora appreso il pudore della sofferenza.
Un vecchio no. Un vecchio non chiede attenzione, conosce il dolore e non vuole disturbare con la sua sofferenza. Se un vecchio piange, solo un cuore duro non prova turbamento.
A questo pensava Libero Maggipinto, fremendo, alla vista di Armando Navarro. Il combattente colombiano si stava contorcendo nell’erba e le sue grida avevano qualcosa di scomodo, intollerabile. Maggipinto era a due passi da Navarro, quando il ginocchio reduce da tante battaglie gli si era piegato in modo innaturale, senza una ragione. Non un contrasto, non una spinta: strazio immotivato, ancor più impietoso.
La pelle abbronzata del sudamericano aveva assunto un colore sinistro, bianco-giallastro. Com’era possibile accettare le urla di un uomo maturo senza fare nulla?
Vide gli infermieri correre con la barella. Vide il medico sociale affaccendarsi attorno al ginocchio. Vide per un attimo una siringa di antidolorifico. Tutto sembrava avvenire altrove, in un mondo lontano, dove proiettavano la partita tra Fonte Pellice e Terra d’Otranto su un maxi-schermo senza volume. L’unico suono reale erano i lamenti, ora più sommessi, di Navarro.
Poi arrivò Marino Paggi. Si avvicinò a Libero Maggipinto e gli disse: «Adesso le punizioni e i rigori li tiro io». Non era né un ordine né una sfida. Era una mera constatazione, colma di indifferenza.
Libero si rese conto di trovarsi proprio lì, tra i ciuffi d’erba dell’Arena del Pellice. Navarro non c’era più: lo avevano portato via, in ospedale. La scia della sua sofferenza stava diluendosi nell’aria.
Il Fonte Pellice stava vincendo 4-0, Maggipinto aveva appena segnato il quarto gol grazie a un elegantissimo movimento sulla sinistra. Guardò le sue ginocchia: erano integre, dritte, solide. Eppure qualcosa si era rotto, anche dentro di lui.
Quando al 59’ l’arbitro assegnò un rigore al Fonte Pellice, provò una fredda lama d’odio per quell’individuo che, senza emozioni evidenti, si stava accingendo a sistemare il pallone sul dischetto. Pregò ogni dio plausibile perché sbagliasse. Non contava nulla, la gara era indirizzata verso un larghissimo successo del Fonte Pellice, ma Marino Paggi non doveva segnare. Non quel giorno, non grazie a un rigore che spettava a Navarro, non tra le minuscole particelle di dolore che ancora brillavano come lucciole, su quel campo di periferia.
La palla gonfiò la rete. Libero Maggipinto rimase pietrificato. Marino Paggi gli passò accanto, rientrando con il pallone verso il centrocampo. «Dai che oggi ne facciamo dieci», gli disse dandogli una manata sulla spalla.