L'Ora del Pellice

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18 – La giornata perfetta di Libero Maggipinto

Marta era venuta apposta da Pavia per vederlo giocare. E lui, Libero, sentiva di volare sul campo.
A vent’anni aveva tutto ciò che desiderava. Viveva lontano da casa, dai problemi di Ercolano e dall’affetto asfissiante di mamma Imma. Era uno degli idoli sportivi di una cittadina che lo aveva adottato. Si era guadagnato la stima dell’allenatore e dei compagni con i suoi atteggiamenti in spogliatoio. Aveva conquistato il cuore di una ragazza bellissima, più grande di lui, che si era fatta più di cento chilometri per venire ad applaudirlo.
Il pallone non poteva tradirlo. Bruno Ravelli, uno dei cardini della squadra, si era appena fatto espellere ingenuamente al 42’ della partita contro il Mangamix e il Fonte Pellice era rimasto in dieci uomini, a difendere un esiguo vantaggio. Il momento ideale per diventare un eroe. In fondo è semplice, quando hai vent’anni e tutto ti sorride: basta farsi trovare al posto giusto al momento giusto, per gustare l’ebbrezza di essere decisivi. Sarebbe bello poter fermare e perpetuare gli attimi più belli: quando senti il cuoio deformarsi al tuo volere sul collo del piede, quando vedi le rete gonfiarsi dietro le mani di un portiere inutilmente proteso in tuffo, quando i compagni ti abbracciano da dietro gridando, quando guardi in tribuna e vedi gli occhi verdi di una ragazza meravigliosa che sta esultando per te.
Al Bar Giallonero, nel dopo-partita, Libero Maggipinto offrì da bere a tutti. Marta si divertiva tantissimo: non conosceva nessuno, ma era la ragazza del campione.
In fondo anche Libero non sapeva molto di lei. L’aveva conosciuta su Facebook e gli era parsa subito simpatica, oltre che bellissima. Per un po’ aveva temuto che si trattasse di un profilo fake. E invece, una volta ottenuto il suo nome, era bastata una videochiamata per scacciare tutti i dubbi: le foto era le sue, la sensualità anche.
Marta aveva 25 anni, cinque più di lui. A Pavia si stava laureando in Medicina e, assorbita tra esami e pratica ospedaliera, non aveva mai trovato l’occasione per venire a Fonte Pellice. Ora però si era materializzata lì. E – con il passare dei minuti – divenne la protagonista assoluta della serata. Libero, da uomo-partita, si trasformò ben presto nell’amico di Marta.
Non che gli dispiacesse. Era bello vederla eclissare tutte le altre ragazze che gravitavano attorno alla squadra. Paggi faceva lo smargiasso, come sempre, ma che sorpresa vedere gente più grande, come Tonarelli e Bergantin, ridere forte alle battute di lei e seguire rapidi ogni movimento dei suoi occhi verdi. Perfino Navarro, il filosofo della squadra, aveva finito per offrirle da bere, lasciandosi consigliare una cura per le sue articolazioni malandate.
Era stata una serata bellissima: forse Libero avrebbe preferito un po’ di intimità, ma quant’è gratificante vedere la propria donna ammirata dagli altri maschi del gruppo? C’era qualcosa di animalesco, d’istintuale. Avrebbe voluto fermare quelle sensazioni, esaltanti almeno quanto l’impatto perfetto con il cuoio della palla o l’ondata di fragore dopo il gol.
«Piccolo, preferisco tornare a Pavia. Sono stanca e domani devo studiare», disse Marta a Libero, quando lui le propose – appena usciti dal bar – di salire in casa. A nulla valsero le timide proteste sulla lunghezza della strada e sui bicchieri bevuti. «Sono quasi un medico. So bene come gestirmi», lo aveva rassicurato con un sorriso. Le sue labbra avevano un sapore buonissimo. Libero se ne andò a letto felice, gustandosi i freschi ricordi di quella giornata memorabile.
Marta lo salutò e aprì la portiera della sua Clio. Francesco Bergantin si avvicinò per salutarla. Dopo un paio di minuti la portiera si richiuse. La Clio, quella notte, rimase a Fonte Pellice.

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