25 marzo 1690: il drammatico destino dei galeotti valdesi
Era il 25 marzo 1690. Giovanni Monestet (o Monastier) chiuse gli occhi all’ospedale delle galere, fisicamente distrutto dai mesi trascorsi come rematore a bordo di una galera francese. Le informazioni sulla vita di quest’uomo sono molto scarse: era di Angrogna e il 12 ottobre 1689 era stato condannato alle galere a vita, in quanto valdese. Il suo nome è riportato da Teofilo G. Pons nel suo opuscolo del 1951 intitolato Valdesi condannati alle galere nei Secoli XVI e XVII: Monestet condivise il suo tragico destino con decine di altri abitanti delle valli, perseguitati per ragioni di fede.
Il 1689, l’anno in cui Monestet cadde prigioniero, è quello del Glorioso rimpatrio, l’epica impresa che ricondusse nelle valli i valdesi esiliati. Molti dei galeotti valdesi erano stati catturati dai francesi in seguito alla battaglia di Salbertrand, il 3 settembre 1689: ad esempio Giovanni Bernaton detto Perol, calzolaio di San Giovanni; oppure Giovanni Arnaud, 26enne della Torre (oggi Torre Pellice). Entrambi furono condannati il 12 ottobre 1689, come Monestet. Le loro fibre resistettero qualche mese in più al tormento bestiale della galera: fino a ventiquattr’ore consecutive ai remi, senza alcuna pausa, con un po’ d’acqua e un biscotto intinto nel vino per placare la sete e la fame.
Ci fu chi, come Giovanni Berru, detto “le Roux”, un giovane di San Giovanni che fu catturato ad Exilles nell’agosto 1689, riuscì a sopravvivere – incredibilmente – per 24 anni. Dopo aver prestato servizio forzoso sulle galere “la Dauphine”, “l’Eclatante” e “la Renommée”, fu liberato il 20 giugno 1713. Teofilo G. Pons riporta che, il 27 settembre 1700, fu in grado di sopportare ben 53 bastonate di punizione.
Secondo la testimonianza di Giovanni Martheille, che visse da galeotto tra il 1700 e il 1713, l’infelice che doveva subire la bastonatura veniva fatto denudare: «Lo si fa stendere ventre a terra sul corsiero della galera con le gambe penzoloni fuori del suo banco; due forzati gli tengono le braccia e due altri le gambe; il comito (il primo dei sottufficiali, ndr) gli si mette dietro e con una corda staffila un robusto turco per animarlo a battere, a sua volta con tutte le sue forze, la schiena del povero paziente. Questo turco, che è pure completamente nudo, sa che non ci sarebbe pietà per lui se risparmiasse il miserabile su cui ci si accanisce con tanta crudeltà, e perciò assesta i suoi colpi con tutta la forza di cui è capace; ogni suo tratto di corda produce una contusione profonda un pollice. Raramente i condannati a questo supplizio possono sopportare più di 10 o 12 colpi senza perdere la favella e i movimenti; ma ciò non impedisce che si continui ad infierire sul povero corpo oramai privo di vita».
Gran parte dei galeotti valdesi, al contrario, caddero sotto i colpi dei loro aguzzini oppure per le conseguenze delle privazioni e delle condizioni di vita inumane a bordo delle navi.
Stando a Teofilo G. Pons, i primi valdesi a finire sulle galere furono quelli di Provenza, sin dal 1545, seguiti dai calabresi, condannati a partire dal 1560-61. Si ha testimonianza di condannati delle valli dalla seconda metà del XVI Secolo fino alla fine del XVII. In genere i galeotti venivano venduti alle potenze marinare dell’epoca: Spagna e Venezia in particolare. Una trattativa tra Vittorio Amedeo di Savoia e la Serenissima stava per concludersi con la vendita di ben 2.000 valdesi a Venezia, che aveva bisogno di braccia per le sue navi. Il tremendo affare saltò all’ultimo momento, per ragioni economiche e per contrasti riguardanti l’isola di Cipro. Secondo Teofilo G. Pons, tale accordo «avrebbe per sempre eliminato dalla storia il popolo valdese».
Fonti: Teofilo G. Pons, Valdesi condannati alle galere nei Secoli XVI e XVII, Società di Studi Valdesi, Torre Pellice, 1951.
Immagine: Galeotti nel XVII Secolo, dall’opuscolo di Teofilo G. Pons.