L'Ora del Pellice

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26 marzo 1821: Silvio Pellico parte per la fortezza dello Spielberg

Nel cuore della notte tra il 25 e il 26 marzo 1821 iniziava il viaggio di Silvio Pellico da Venezia verso la fortezza dello Spielberg, dove lo scrittore, poeta e patriota cresciuto a Pinerolo trascorse quasi dieci anni: un’esperienza che gli ispirò la sua opera più celebre, il libro di memorie Le mie prigioni.
Pellice descrisse così quella notte in cui dovette lasciare l’Italia: «Essere costretto da sventura ad abbandonare la patria è sempre doloroso, ma abbandonarla incatenato, condotto in climi orrendi, destinato a languire per anni fra sgherri, è cosa sì straziante che non v’ha termini per accennarla!»
Il viaggio dei prigionieri – con Pellico erano condotti in Austria altri patrioti italiani, tra cui il musicista Piero Maroncelli – fu accompagnato dalla solidarietà di molti italiani: «Prima di varcare le Alpi, vieppiù mi si facea cara d’ora in ora la mia nazione, stante la pietà che dappertutto ci dimostravano quelli che incontravamo. In ogni città, in ogni villaggio, per ogni sparso casolare, la notizia della nostra condanna essendo già pubblica da qualche settimana, eravamo aspettati. In parecchi luoghi, i commissarii e le guardie stentavano a dissipare la folla che ne circondava. Era mirabile il benevolo sentimento che veniva palesato a nostro riguardo».
Le parole scritte da Silvio Pellico sulla Patria italiana infiammarono i lettori e contribuirono a creare un clima favorevole alle lotte risorgimentali. Il cancelliere austriaco Kelemens von Metternich dovette ammettere che quel libro causò più danni all’Austria di una battaglia perduta.
Ma chi era questo personaggio, legato al Pinerolese da sentimenti di affetto e amicizia? Silvio Pellico era nato a Saluzzo il 25 giugno 1789. A soli tre anni si trasferì, insieme alla famiglia, a Pinerolo. Il padre Onorato aveva rilevato una drogheria e aveva preso casa di fronte al Duomo, in piazza San Donato, in un appartamento di casa Majneri. Una targa di marmo affissa sulla facciata ricorda ancora il suo soggiorno pinerolese.
Secondo lo storico Felice Alessio – che scrisse una nota biografica su La Lanterna pinerolese – la permanenza di Silvio Pellico a Pinerolo si protrasse fino agli undici anni: «Poco sappiamo di quel non lungo soggiorno della famiglia Pellico a Pinerolo, ma ben si può asserire che di tutte le contrade per cui andò poscia vagando, […] gli rimase più poeticamente impressa nella memoria» la zona lungo le rive del Chisone, dove soleva rifugiarsi a contemplare «le sue acque perigliose» per la disperazione del suo maestro, don Manavella.
Sembra che proprio a Pinerolo, preso a modello il padre (poeta di scarso valore, i cui sonetti furono inseriti nella raccolta donata dalla città al nuovo vescovo mons. Giuseppe Maria Grimaldi, nel 1797, in occasione del suo ingresso ufficiale), Silvio iniziò a scrivere versi.
Il fallimento del negozio del padre consigliò i Pellico di trasferirsi a Torino, dove gli affari – se possibile – peggiorarono ulteriormente. Cominciò per Silvio una vita di peregrinazioni, a Lione, Milano, Liuno. All’attività di precettore e scrittore affiancò quella di giornalista e polemista, dirigendo Il Conciliatore. Entrato nella setta segreta dei Fratelli, fu arrestato dalla polizia austriaca e condannato a morte per le sue idee patriottiche. La pena fu commutata in quindici anni di carcere duro, poi ridotti a dieci. Tornato in libertà e trasferitosi a Torino, scrisse alcune tragedie. Morì il 31 gennaio 1854.

Fonti: Silvio Pellico, Le mie prigioni; La Lanterna pinerolese.

Immagine: L’arresto di Silvio Pellico e Pietro Maroncelli, quadro di Carlo Felice Biscarra custodito al Museo Civico di Saluzzo.

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