29 luglio 1797: addio privilegi feudali, Bricherasio decisiva
Carlo Emanuele IV, re di Sardegna e duca di Savoia da pochi mesi, cancellò il 29 luglio 1797 mediante un editto gli ultimi privilegi feudali in Piemonte. Il vento rivoluzionario che spirava dalla Francia stava cambiando il mondo. Carlo Emanuele IV, tuttavia, non era protagonista di questo cambiamento: lo stava subendo. Passato alla storia come un sovrano pavido e timoroso, era succeduto al padre Vittorio Amedeo III ricevendo quella che considerava una “corona di spine”.
L’editto del 29 luglio servì ad arginare le rivolte che stavano divampando in diverse località del Piemonte. Non si trattava di azioni indirizzate esplicitamente al rovesciamento dell’ordine costituito, quanto piuttosto di agitazioni di carattere economico, contro l’aumento dei prezzi e contro gli antichi privilegi degli aristocratici che continuavano a vantare diritti sulle proprietà pubbliche e private.
Secondo alcuni storici un ruolo determinante nella concessione dell’editto fu rivestito dalla rivolta di Bricherasio. Il 26 luglio 1797, tre giorni prima dell’editto, una gran folla riempì la piazza del paese: i contadini protestavano in particolare per lo sfruttamento delle acque del canale da parte del conte Giovanni Battista Cacherano, che si appropriava della risorsa idrica per i suoi mulini e i suoi opifici – in cui produceva carta – rendendo più difficoltosa l’irrigazione dei campi.
A indirizzare la rabbia popolare fu l’avvocato Ignazio Belmondo, nato a Bricherasio il 20 giugno 1745 in un’antichissima famiglia del paese che aveva da tempo perduto gran parte delle sue fortune. Figlio di un notaio, Belmondo fu per trent’anni procuratore a Torino. In contatto con gli ambienti giacobini, era stato allontanato dal Collegio dei procuratori e aveva scontato perfino un mese di carcere per le sue idee rivoluzionarie.
In quella calda giornata di fine luglio, a Bricherasio, Belmondo si propose come portavoce delle istanze popolari. Anche gli altri Comuni della valle redassero una petizione incaricando tre delegati, tra cui lo stesso Belmondo, di consegnarla al sovrano.
«Vista la gravità della situazione il conte Cacherano corse a Pinerolo a cercare l’aiuto della forza pubblica, ma non avendolo ottenuto risolse di tornare in Bricherasio dove scese a patti con i rivoltosi assieme al conte Ricca di Castelvecchio – scrivono don Pietro Bolla e Gianfranco Pellice in Bricherasio dalle origini ad oggi –. Il Comune ottenne così di poter fare le modifiche al corso del canale, che gli premevano da tempo, mentre la popolazione occupava gli edifici ad acqua dei Signori; ma arrivata la forza pubblica da Pinerolo furono fatti sgomberare, mentre l’amministrazione comunale comunicava al cartaio Giovanni Battista Mamberti, ai mugnai e al macinatore di rusca ed olio che sarebbero tornati a dipendere dai Cacherano».
L’ordine fu dunque ristabilito con la forza. Lo stesso editto del 29 luglio 1797 aveva toni molto remissivi nei confronti dei nobili, a proposito delle concessioni in esso contenute. Carlo Emanuele IV si disse infatti «sicuro che gli stessi Feudatari per l’antico loro attaccamento all’ordinamento dello Stato sarebbero stati disposti a farne di buon animo un sacrifizio necessario al massimo bene della pubblica tranquillità».
Presto nuove rivolte avrebbero instaurato cambiato gli equilibri nei territori sabaudi, aprendo la strada all’occupazione da parte della Francia rivoluzionaria. Luigi Cesare Bollea, nel suo La rivoluzione in una terra del Piemonte (1797-1799), è esplicito nell’indicare i fatti bricherasiesi di fine luglio 1797 come «il granello di sabbia che, smosso, fece crollare ufficialmente il regime feudale in Piemonte».
Fonti: Luigi Cesare Bollea, La rivoluzione in una terra del Piemonte (1797-1799), Clausen-Rinck, 1905; Umberto Coldagelli, voce su Ignazio Belmondo in Dizionario biografico degli italiani, Treccani, 1966; Pietro Bolla, Gianfranco Pellice, Bricherasio dalle origini ad oggi, Stilgraf, 1986.
Immagine: Carlo Emanuele IV di Savoia e una cartolina di Bricherasio.