8 aprile 1868: Caprilli, l’uomo che rivoluzionò l’arte di cavalcare
L’uomo destinato a cambiare il modo di cavalcare, il brillante ufficiale che fu tra gli idoli della Belle Époque, il grande cavaliere capace di straordinarie imprese sportive. Federico Caprilli era nato a Livorno l’8 aprile 1868 (oppure il 7, come riportano fonti autorevoli: un piccolo “giallo”, visto che esistono documenti d’epoca che attestano entrambe le date). Anche sul nome ci sono discrepanze: all’anagrafe fu registrato come Federigo (durante l’infanzia, in famiglia, era chiamato Ghigo), ma in età adulta fu più spesso indicato come Federico.
Caprilli apparteneva a una famiglia borghese benestante: il padre era imprenditore, il nonno armatore. L’infanzia fu agiata e serena, ma la morte improvvisa del padre Enrico e le seconde nozze della madre Elvira con Carlo Santini, un ingegnere edile che aveva combattuto con Garibaldi, cambiarono le prospettive. Dopo un periodo vissuto a Roma, il giovane fu mandato in collegio, prima a Terni poi a Firenze e ancora a Roma. Qui maturò la decisione d’intraprendere la carriera militare, servendo in Cavalleria. «A sospingervelo – scrive il biografo Lucio Lami – erano (…) la fama da avventurosi moschettieri di cui gli ufficiali di quell’Arma godevano dovunque, il sentimento di rivalsa risorgimentale che animava i giovani della sua generazione, il gran numero di aristocratici arruolati nei ranghi della Cavalleria e la conseguente promozione sociale che essa prometteva ai borghesi che ne indossavano l’uniforme, la caratteristica stessa dell’Arma che arruolava, più che gente di studio, uomini atletici e di coraggio».
Entrato – a spese del patrigno – all’Accademia di Modena, Caprilli conobbe quello che sarebbe divenuto il suo amico fraterno: Emanuele Cacherano di Bricherasio, anch’egli destinato a una vita straordinaria quanto breve. Fu probabilmente per seguire Emanuele che – una volta divenuto sottufficiale – Federico chiese di essere assegnato al Reggimento Piemonte Reale (di stanza a Saluzzo) e, di lì a poco, alla Scuola di Cavalleria di Pinerolo.
Nacque così un binomio indissolubile, tra il giovane semisconosciuto e la città della Cavalleria. «Quando sciamavano per la cittadina i quattrocento militari con i loro ufficiali», scrive Lami, «[Pinerolo] diventava una propaggine della caserma. La società stessa era pervasa dalla Cavalleria. La sera, sotto i portici bassi e semibui, passeggiavano i più illustri rampolli dell’aristocrazia italiana ed era tutto un tintinnio di speroni, uno strusciar di sciabole, un accendersi e spegnersi di sigari, un parlottare discreto a proposito delle ragazze che uscivano a grappoli per l’ora dello struscio».
A Pinerolo – è storia nota – quello che era stato considerato un mediocre studente dell’Accademia di Modena divenne un personaggio di fama internazionale. Merito del suo talento e del suo spirito d’iniziativa. Stupendo i suoi superiori, Caprilli mostrò ben presto doti non comuni nell’arte equestre. Perfezionò un modo di cavalcare, che divenne noto a livello mondiale come “metodo naturale”. Non era il cavallo a doversi adattare al cavaliere, ma il contrario: questo consentiva di ottenere dall’animale prestazioni inimmaginabili fino a quel momento.
Per apprendere il metodo Caprilli giunsero a Pinerolo ambiziosi cavalieri da tutta Europa e oltre. Fu una stagione particolarmente felice per la città. Parallelamente, Federico divenne celebre: apprezzato dagli uomini per le sue doti sportive e dalle donne per quelle amatorie, si fece un nome nella buona società dell’epoca e conquistò gli onori delle cronache, rivaleggiando nientemeno che con D’Annunzio. Una leggenda vuole che Caprilli abbia partecipato alle Olimpiadi di Parigi, nel 1900, sostituendo di nascosto il suo allievo Gian Giorgio Trissino, conquistando la prima medaglia d’oro di sempre per l’Italia.
La morte lo colse a soli 39 anni, il 5 dicembre 1907. Quel giorno aveva preso il treno da Pinerolo a Torino, pare per incontrare la donna che avrebbe voluto sposare: la bellissima Vittorina Lepanto, attrice del varietà. Vittorina non si presentò all’appuntamento e Federico, rabbuiato, si diresse da Enea Gallina, il più celebre mercante di cavalli di Torino, per vedere i nuovi arrivi. Durante una banale cavalcata di prova cadde rovinosamente e morì dopo alcune ore di agonia. L’incidente apparve fin da subito inspiegabile: com’era possibile che il più grande cavaliere del mondo morisse così, nel corso di una “passeggiata”? furono avanzate ipotesi più o meno fantasiose (un malore o addirittura un “delitto di Stato”, causato dalle troppo ardite frequentazioni di Caprilli) e questo “giallo” affascina ancora oggi. Anche la tragica fine ha contribuito al mito di Federico Caprilli.
Fonti: Lucio Lami, Le passioni del Dragone, Mursia, Milano, 2009; Mario Barsali, voce nel Dizionario Biografico degli Italiani, Treccani, Roma, 1976; La Stampa, 5 e 6 dicembre 1907.
Immagine: Federico Caprilli in azione.
Grazie per questo pezzo egregiamente scritto di storia Pinerolese!