26 febbraio 1922: il pinerolese Facta giura come presidente del Consiglio
«L’on. Facta nella sua opera avrà al suo fianco la parte, che è la maggiore, non corrotta e non addormentata del paese, il quale ha bisogno di un governo che serva prima di tutto l’idea della sua salvazione dai tentacoli dell’affarismo internazionale, e con essa della sua autonomia e della sua grandezza». Così il quotidiano romano Il Messaggero salutò l’insediamento – il 26 febbraio 1922 – del governo guidato da Luigi Facta, deputato di Pinerolo, giolittiano di ferro. Non fu una previsione azzeccata: Facta restò in carica appena otto mesi, spazzato via dalla marcia su Roma. Il suo nome era destinato a passare alla storia come l’ultimo presidente del Consiglio dell’Italia liberale prima dell’avvento del fascismo.
Luigi Facta era nato a Pinerolo il 13 settembre 1861 ed era diventato avvocato, come suo padre Vincenzo. Brillantissimo negli studi (si era laureato in Giurisprudenza all’Università di Torino ad appena 18 anni, nel 1879), aveva affiancato ben presto all’attività professionale quella politica. Consigliere comunale di Pinerolo dal 1884 (per un certo periodo fu anche sindaco della città), Facta legò le sue fortune a quelle di Giovanni Giolitti. Il 23 novembre 1892, a 31 anni, aveva fatto il suo ingresso alla Camera dei Deputati. Il suo primo intervento in Parlamento fu dedicato al rifiuto della Società ferroviaria di istituire un quinto treno giornaliero sulla linea Torre Pellice-Pinerolo-Torino: da allora, per nove mandati parlamentari, fu tra i più solerti rappresentanti del territorio pinerolese a Roma.
Non è sorprendente, perciò, che la nomina a presidente del Consiglio, su indicazione di re Vittorio Emanuele III, fu accolta a Pinerolo con grande giubilo. La Giunta comunale indisse solenni onoranze e il sindaco Mario Risso inviò a Facta un telegramma di felicitazioni: «Concittadini che salutano in quest’anno il trentennio di ammirevole opera parlamentare dell’E.V. intendono altissimo onore per costituzione Governo nel nome del loro deputato ed inspirano di civica riconoscenza fervidi auguri».
Luigi Facta, che era stato sottosegretario alla Giustizia tra il 1903 e il 1905, sottosegretario all’Interno tra il 1906 e il 1909 e soprattutto ministro delle Finanze tra il 1910 e il 1914, divenne presidente del Consiglio in uno dei momenti più difficili della storia del Regno. I problemi erano di carattere economico – agli sconvolgimenti della Grande Guerra era seguita una crisi occupazionale che aveva causato un biennio di scioperi – ma soprattutto politico. Forze nuove o nuovissime – dai socialisti ai popolari, dai comunisti ai fascisti – intendevano dare rappresentanza alle classi popolari prostrate dalla guerra: l’Italia liberale uscita dal Risorgimento mostrava ormai tutti i suoi limiti.
Facta era descritto da La Stampa come «un galantuomo […] che, per puro spirito di abnegazione e di disciplina, si sobbarca l’ingratissimo compito di formar un ministero […], dopo tutto quello che è successo nel mondo politico e parlamentare». Non ebbe però la personalità per affermare il proprio ruolo e, di lì a qualche mese, incapace di arginare la dimostrazione di forza da parte dei fascisti, fu sacrificato dal re come capro espiatorio.
Fonti: Il Messaggero, La Stampa.
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